Cronaca

‘Ndrangheta: clan Mancuso, chiesti 63 anni di carcere a Milano per otto imputati

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di GIUSEPPE BAGLIVO

Richieste di condanna per complessivi 63 anni di carcere nel processo a Milano contro il clan Mancuso di Limbadi, nel Vibonese, coinvolto nell’operazione “Grillo Parlante 2” scattata il 18 dicembre del 2013. Estorsioni aggravate dalle modalità mafiose nel tentativo di infiltrarsi nel tessuto economico della Lombardia, le accuse della Dda di Milano. Quasi cinque ore di requisitoria del pm della Dda, Giuseppe D’Amico, che ha così concluso con le richieste di pena: 8 anni e 6 mesi di carcere per Sabatino Di Grillo, 40 anni, di Limbadi, trasferitosi negli ultimi anni a Cuggiono (Mi); 9 anni e 6 mesi per Vincenzo Evolo, 53 anni, di Paravati, frazione di Mileto (Vv), da qualche anno residente a Corbetta (Mi); 7 anni a testa, invece, per gli imputati: Salvatore Carrà, 52 anni, di Vibo Valentia ma residente ad Assago (Mi); Francesco Serravite, 39 anni, di Sorianello (Vv); Domenico Giurlanda, 38 anni, di Soriano Calabro (Vv); Rocco Barbaro, 43 anni, di Platì, ma residente a Careri (Rc); Mauro Elio Mussari, 52 anni, di Carlopoli (Cz), residente ad Arluno (Mi); Eugenio Costantino, 54 anni, di Cosenza. Optano, infine, per il processo con rito ordinario  Giuseppe Crivaro, 46 anni, di Filadelfia (Vv), con domicilio ad Arluno (Mi), e Domenico Villì, 64 anni, di Bovalino (Rc), residente a Milano.

Gli imputati,  pur non essendo inseriti in maniera organica nel sodalizio, ne avrebbero secondo l’accusa favorito l’intervento al fine di ottenere il recupero di crediti vantati nei confronti di terze persone, consapevoli della caratura criminale della ‘ndrina vibonese.

Le singole accuse. Il vibonese Sabatino Di Grillo viene ritenuto dalla Dda di Milano “il più autorevole esponente in Lombardia del clan Mancuso di Limbadi” che, una volta stanziatosi in terra lombarda, avrebbe “qui esportato lo stesso modello dell’associazione mafiosa originaria, riproducendo nell’area del Magentino milanese un’organizzazione criminale analoga alla matrice originaria, dedicandosi alle stesse attività delittuose svolte dalla cosca madre in Calabria”. Attività che, per gli inquirenti, avrebbero permesso di tenere sotto scacco diversi imprenditori del Milanese, riscuotendo crediti per conto di terze persone con metodi sbrigativi e violenti. Sabatino Di Grillo è figlio di Rosaria Mancuso, sorella dei boss Giuseppe, Diego, Francesco (alias “Tabacco”) e Pantaleone (detto l’”Ingegnere”) Mancuso ed appartiene a quella che il gip nell’ordinanza di custodia cautelare ha definito come “ala scissionista della potente famiglia dei Mancuso i cui capi Diego, Giuseppe, Francesco e Pantaleone Mancuso si sono resi responsabili agli inizi del 2000 di una contrapposizione violenta con la cosca madre rappresentata dagli zii Antonio, Pantaleone (detto “Vetrinetta” e deceduto di recente in stato di detenzione), Luigi e Cosmo Michele Mancuso”.

Di Grillo ed Evolo

In foto, dall’alto in basso: Sabatino Di Grillo e Vincenzo Evolo

Di Grillo, secondo l’impalcatura accusatoria, sarebbe stato spalleggiato in Lombardia da Vincenzo Evolo, di Paravati di Mileto, dell’omonimo clan già operante nel Vibonese nel settore delle estorsioni unitamente ai fratelli Fortunato e Domenico, entrambi uccisi nella faida con la contrapposta “famiglia” dei Galati della frazione Comparni di Mileto. Lo stesso Vincenzo Evolo è poi “riuscito miracolosamente a scampare ad un attentato l’11 luglio 1996 quando venne fatto segno di diversi colpi di fucile a pallettoni all’esterno di un bar di Paravati”. Fra gli imputati ammessi al rito abbreviato, anche Domenico Giurlanda, ex calciatore e capitano del Soriano, società che milita nel campionato di promozione. Giurlanda ha chiuso da due anni con l’attività agonistica.

I calabresi contro i “protetti” del clan catanese dei Santapaola. Sabatino Di Grillo, Vincenzo Evolo ed il consulente aziendale vibonese Salvatore Carrà, secondo l’accusa avrebbero costretto un imprenditore siciliano residente in provincia di Como a versare loro 9mila euro, credito vantato da Carrà il quale avrebbe incaricato della “riscossione” Evolo. Quest’ultimo si sarebbe quindi presentato al cospetto dell’imprenditore in compagnia di Di Grillo e Carrà. Nonostante il siciliano avesse fatto presente ai vibonesi di essere contiguo alla famiglia mafiosa catanese capeggiata dal superboss Nitto Santapaola, Di Grillo avrebbe replicato rivendicando la propria appartenenza alla cosca di ‘ndrangheta dei Mancuso, ottenendo così l’immediato impegno da parte dell’imprenditore di saldare entro 10 giorni il debito. Cosa, ad avviso dei carabinieri, puntualmente verificatasi con i soldi poi ripartiti in parti uguali fra i tre vibonesi.

Le altre contestazioni. Altra estorsione viene poi contestata in concorso a Vincenzo Evolo e Rocco Barbaro. In questo caso il titolare di una cooperativa di Busto Garolfo, nel milanese, avrebbe consegnato ai due calabresi 3.500 euro quale credito vantato da un altro imprenditore.

Altri 4mila euro, Sabatino Di Grillo, Vincenzo Evolo e Domenico Villì sarebbero invece riusciti a “spillare” al titolare di una ditta di autotrasporti di Paderno Dugnano (Mi), mentre Evolo ed Eugenio Costantino sarebbero riusciti ad estorcere 3.500 euro ad altro imprenditore del Milanese. Infine, Sabatino Di Grillo, Vincenzo Evolo, Mauro Elio Mussari, Giuseppe Crivaro, Francesco Serravite e Domenico Giurlanda avrebbero estorto 3mila euro ad un soggetto del Milanese. La consegna del denaro sarebbe avvenuta nelle mani di Sabatino Di Grillo dopo pesanti minacce da parte di Crivaro, Giurlanda e Serravite.

Difensori. Di Grillo è difeso dagli avvocati Beatrice Saldarini e Michele D’Agostino; Evolo dall’avvocato Pietro Salinari; Carrà dall’avvocato Roberto Grittini; Barbaro dagli avvocati Giuseppe Bartolo e Lucia Lucentini; Villì dall’avvocato Rocco Romellano; Mussari dagli avvocati Lucia Lucentini ed Elena Franzoni; Crivaro dall’avvocato Sergio Lucisano; Serravite dall’avvocato Giuseppe Orecchio; Costantino dagli avvocati Giovanni Rosati e Tiziana Adele Bellani; Giurlanda dall’avvocato Giuseppe Orecchio.