ESCLUSIVO/ ‘Ndrangheta: c’è un nuovo pentito contro il clan Mancuso

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Arcangelo Furfaro di Gioia Tauro, vicino al clan Molè, svela alla Dda di Catanzaro fatti e misfatti sulla potente cosca di Limbadi raccontando retroscena inediti pure sull’omicidio “eccellente” del broker della cocaina Domenico Campisi ucciso a Nicotera

di GIUSEPPE BAGLIVO

Un nuovo pentito contro il clan Mancuso e questa volta a “tremare” sono direttamente i vertici e gli esponenti apicali del clan di Limbadi. Gli scenari che apre il nuovo collaboratore di giustizia sono infatti del tutto inediti e dirompenti. Se riscontrati dagli inquirenti, permetterebbero di gettare nuova luce pure su uno degli omicidi più eclatanti commessi negli ultimi cinque anni nel Vibonese: quello di Domenico Campisi, il 45enne broker della cocaina (già coinvolto nell’inchiesta sul narcotraffico internazionale denominata “Decollo”) legato a doppio-filo al clan Mancuso e freddato il 17 giugno 2011 in un agguato sulla strada provinciale per Nicotera. Il nuovo collaboratore di giustizia che punta “l’indice” contro i Mancuso si chiama Arcangelo Furfaro, ha 46 anni ed ha gravitato sino alla collaborazione attorno al potente clan Molè. Dopo aver iniziato a raccontare da circa 6 mesi alla Dda di Reggio Calabria fatti e misfatti della ‘ndrangheta di Gioia Tauro con lo scontro fra i Molè ed i Piromalli, Furfaro – accusandosi di numerosi delitti, danneggiamenti, estorsioni, armi e droga – è stato di recente ascoltato a Roma anche dal pm della Dda di Catanzaro, Camillo Falvo, magistrato competente ad indagare sui fatti di mafia riguardanti l’intero comprensorio di Vibo Valentia e provincia.

Il pentito e gli agganci con i vibonesi. Arcangelo Furfaro, per tutti “Lino”, racconta al pm della Dda di Catanzaro di aver conosciuto a Roma fra la fine del 2010 e l’inizio del 2011 Domenic Signoretta, 30 anni, di Jonadi, nel Vibonese, di recente mandato a giudizio dal gip distrettuale con l’accusa di essere l’armiere dell’articolazione del clan che fa capo a Pantaleone Mancuso, 54 anni, detto “l’Ingegnere”, il boss estradato dall’Argentina dove è stato catturato lo scorso anno dopo un periodo di latitanza. E’ tramite un soggetto di Gioia Tauro che sarebbe avvenuta la presentazione di Arcangelo Furfaro a Domenic, detto “Mic”, Signoretta. “All’epoca – fa mettere a verbale Furfaro al pm Falvo – Domenic Signoretta abitava a Roma a Tor Vergata e trafficava, come del resto facevo pure io, in sostanze stupefacenti” . Fra Furfaro e Signoretta nasce così un’amicizia e i due iniziano a dividere a Roma la stessa casa. “A Tor Vergata abbiamo coabitato – spiega Furfaro – per 6-7 mesi, poi ci siamo trasferiti in altra casa sino a fine estate 2012. All’epoca io già portavo hashish da Sanremo nella Capitale, mentre Domenic Signoretta trafficava a Roma cocaina. Domenic si chiama così perché la madre è tedesca e lui stesso parla molto bene il tedesco. In casa nel periodo di coabitazione eravamo sempre armati. La nostra casa a Roma era frequentata da Peppe Mancuso, figlio di Pantaleone Mancuso, detto l’ “Ingegnere”, che abita a Nicotera vicino al campo sportivo”.

Peppe Mancuso. Il pentito Arcangelo Furfaro spiega quindi nel dettaglio al pm Camillo Falvo gli incontri “romani” con Peppe Mancuso (di recente assolto insieme al padre Pantaleone dal tentato omicidio ai danni della zia Romana Mancuso e del cugino Giovanni Rizzo, fatto di sangue avvenuto a Nicotera nel 2008) che si sarebbe recato “a Napoli per prendere soldi falsi, 180mila euro, ed una pistola a tamburo”. In cambio avrebbe ricevuto dallo stesso Furfaro e da Signoretta “cinquanta chili di marijuana che non ci ha nemmeno pagata tutta. Domenic Signoretta – racconta il pentito – era in ogni caso la persona di maggiore fiducia di Luni Mancuso l’ “Ingegnere”.

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Carabinieri sul luogo dell’omicidio di Domenico Campisi (in foto a sinistra)

L’omicidio Campisi. E’ a questo punto che Arcangelo Furfaro, primo collaboratore di giustizia a parlare dell’omicidio “eccellente” di Domenico Campisi, indica al magistrato quelli che – in base alle sue conoscenze – sarebbero gli esecutori materiali del delitto. “Domenic Signoretta con Peppe Mancuso, figlio di Luni Mancuso l’ “Ingegnere”, hanno commesso l’omicidio di Campisi Domenico, detto Mimmo”. Arcangelo Furfaro rimarca quindi che “Domenic è un killer di Luni Mancuso l’ “Ingegnere”, e non faceva nulla senza il suo ordine o assenso, spiegandomi che aveva fatto altri sette omicidi. Prima dell’agguato a Campisi, Domenic Signoretta – sottolinea il collaboratore –  ricevette a Roma una telefonata da giù, anzi un messaggio, a seguito del quale mi disse che doveva urgentemente tornare in Calabria. Era un telefono che usavano solo con Peppe Mancuso figlio dell’ “Ingegnere” percui erano loro, i Mancuso, quelli che lo avevano chiamato per scendere”. Risalito a Roma, Domenic Signoretta avrebbe confessato ad Arcangelo Furfaro di aver ucciso Campisi insieme a Peppe Mancuso, figlio di Pantaleone Mancuso, l’ “Ingegnere”. “Domenic mi disse: “ ‘nci jettai du botti”, nel senso che aveva freddato Campisi. Domenic mi disse pure che dopo aver fatto l’omicidio, prima di salire a Roma, era stato ospite in un villaggio a Capo Vaticano in attesa che le acque si calmassero perché giù c’era un macello”.

Movente del delitto. Ma perché Pantaleone Mancuso, alias “l’ Ingegnere”, ed il figlio (che allo stato comunque non sono stati raggiunti da alcun provvedimento per tale fatto di sangue) avrebbero avuto interesse ad eliminare Domenico Campisi che – come emerso dall’attività investigativa degli inquirenti di Bologna nell’ambito dell’inchiesta “Due Torri connection” – un mese prima di morire aveva finanziato con due bonifici bancari l’importazione di 75 chili di cocaina dalla Colombia al porto di Gioia Tauro ed era inserito “con un ruolo di primissimo piano nell’organizzazione diretta da Francesco Ventrici” di San Calogero quest’ultimo a sua volta legatissimo a Vincenzo Barbieri, l’altro broker della cocaina ucciso a San Calogero nel marzo 2011? Anche su questo il pentito Furfaro offre alla Dda la propria spiegazione, premettendo – ed in ciò concordando anche con le dichiarazioni del pentito Raffaele Moscato e con le intercettazioni in cui il boss Pantaleone Mancuso, alias “Vetrinetta” (di recente morto in carcere) spiega alla sorella Romana di come “i lordazzi si sono uniti” – che nel 2011 i cugini omonimi Pantaleone Mancuso “l’ “Ingegnere” e Pantaloene Mancuso, alias “Scarpuni”, avevano fatto pace e si erano alleati. Particolare importante, quest’ultimo dato, considerato che quando Domenico Campisi venne ucciso, alla guida dell’auto si trovava l’allora 25enne Benedetto Buccafusca, congiunto di Santa Buccafusca, la moglie di Pantaleone Mancuso, alias “Scarpuni”, poi suicidatasi ingerendo acido muriatico. In occasione dell’omicidio di Domenico Campisi, secondo la ricostruzione dell’agguato fatta dai carabinieri accorsi sul luogo del delitto, i killer volutamente risparmiarono Benedetto Buccafusca, scaricando invece la pioggia di fuoco contro Campisi.

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Secondo Furfaro, alla base dell’omicidio di Domenico Campisi ci sarebbe stata la consegna nel primo semestre 2011 ad un esponente del clan Molè di alcuni chili di cocaina non purissima, “una porcheria” che lo stesso Furfaro avrebbe rivenduto a Roma ad altri soggetti che si sarebbero poi lamentati per la cattiva qualità dello stupefacente. Allo stesso tempo Campisi, a detta del pentito Furfaro, mentre riforniva di cocaina uomini del clan Molè (e fra i Molè e Campisi ci sarebbe stato pure un legame di comparaggio) avrebbe negato al gruppo di Pantaleone Mancuso, alias l’ “Ingegnere”, e a Domenic Signoretta di detenere cocaina. “A noi  diceva sempre che non ne ha” avrebbe detto Campisi a Signoretta e “l’ Ingegnere” secondo il racconto del pentito Furfaro. Campisi, che già portava avanti affari di droga con il gruppo di Francesco Ventrici, avrebbe quindi in sostanza tenuto all’oscuro “l’Ingegnere” dei propri traffici con la cocaina. Da qui la decisione di eliminarlo. Sarebbe stato Signoretta a spiegare a Furfaro di aver raccontato al boss Pantaleone Mancuso (l’ “Ingegnere”) degli affari nascosti di Campisi, con lo stesso Signoretta che avrebbe anticipato al futuro collaboratore di giustizia che “da lì a qualche giorno Domenico Campisi sarebbe stato ucciso”. Cosa poi realmente avvenuta.