Cronaca

‘Ndrangheta in Piemonte, Cassazione annulla con rinvio condanne per riciclaggio

Secondo l'accusa gli imputati avrebbero reinvestito parte dell’ingente patrimonio del defunto boss ucciso in Calabria mentre era latitante

tribunale

Nel processo relativo all’operazione denominata “Marcos” la Corte d’Appello di Torino aveva confermato le condanne nei confronti dei familiari del defunto boss e dei loro presunti gregari, e determinato il sequestro dei beni il cui valore è stato quantificato in circa venti milioni di euro, costituiti da terreni, bar, attività alberghiere, appartamenti e un garage da 100 auto, con sede in Calabria, Lazio e Piemonte. Tali beni sarebbero risultati il frutto del reinvestimento di parte dell’ingente patrimonio illecito accumulato da Pasquale Marando, broker ed elemento di primo piano del narcotraffico internazionale, che sarebbe stato ucciso in Calabria nel 2000, mentre era latitante, nell’ambito di una faida familiare, ma il cui corpo non è mai stato trovato.

La seconda sezione Penale della Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso proposto e discusso dall’avvocato Francesco Lojacono, difensore di Nicola Marando, Antonio Marando (originari di Platì), e Carmelo Sciglitano (originario di Seminara), ha annullato con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Torino ritenendo non adeguatamente dimostrato che gli investimenti in parola fossero riconducibili alle attività della omonima cosca mafiosa e quindi finalizzati al rafforzamento della stessa, e ciò con diretta conseguenza sulle pene irrogate, che dovranno essere oggetto di rivalutazione, anche alla luce della possibile e conseguente intervenuta prescrizione dei relativi reati oggetto di contestazione.

La pronuncia di annullamento ha riguardato tutti gli imputati, compresi quelli già ritenuti prestanome dei Marando, e cioè Maria Tassone, già educatrice del carcere di Rebibbia, e il marito Francesco Tassone, ambedue originari di Fabrizia e difesi dall’avvocato Francesco Fortuna.

In precedenza, la stessa Sezione della Suprema Corte, in relazione alle medesime contestazioni, aveva annullato con rinvio anche la condanna irrogata a Rosario Marando, che era stato separatamente giudicato in abbreviato, anch’egli difeso dall’avvocato Lojacono e poi definitivamente assolto, ritenendo non adeguatamente provato che i capitali investiti fossero riconducibili al “patrimonio” accumulato dal fratello Pasquale con i proventi del narcotraffico e dei sequestri di persona.