Cronaca

Vibo, processo a due sacerdoti: “Don Graziano provò a mandarmi messaggini amorosi”

Dagli attentati di ignoti (proiettili, benzina, scritte come "sei una putt...") al debito, a cui seguirono i "messaggi pesanti" del prete e i modi "non gentili". Il racconto in aula della testimone

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“Ha tentato di mandare qualche messaggino amoroso nei miei confronti, solo che non ci è riuscito. Poi è passato alla parte più ‘debole’, ovvero mia sorella”. Che messaggi le ha mandato? “Mi aveva scritto che ci avrebbe aiutato con molto piacere perché ha visto che eravamo una famiglia per bene, quindi lo avrebbe fatto con il cuore. Però se qualche volta, a tempo perso, potevo prendere un aperitivo, qualcosa, a mare sotto le stelle…“. E lei ha risposto a questi messaggi? “No”.

Nel processo a don Graziano Maccarone (segretario dell’allora vescovo di Mileto Luigi Renzo) e don Nicola De Luca, due sacerdoti del Vibonese accusati di tentata estorsione aggravata dalle modalità mafiose, emergono dei particolari in merito ai messaggi che lo stesso don Graziano avrebbe mandato alle figlie della vittima della presunta tentata estorsione, Roberto Mazzocca. A testimoniare questa mattina, nel tribunale di Vibo Valentia, è stata proprio una di loro, parte civile nel procedimento in quanto proprietaria del locale per il quale era stato creato il debito da cui ha avuto origine tutta la vicenda oggetto del processo.

I “piccoli attentati” e la crisi economica

“Il locale si trovava nel centro di Parghelia (in provincia di Vibo, ndr), sul corso. Lo gestivo nel 2009 con mio padre – ha raccontato la donna in aula – che mi affiancava perchè ero uscita da una scuola alberghiera e mi ha aiutato a inserirmi nel mondo del commercio. I locali erano in affitto e li abbiamo arredati noi, rivolgendoci a Sergio Politi. Per pagarlo abbiamo utilizzato degli assegni riferiti al mio conto: il primo è stato coperto, gli altri purtroppo, perchè non ci hanno fatto lavorare, non siamo riusciti a coprirli”. La situazione economica, ha spiegato, non era florida. Solo che “inizialmente non stavamo benissimo ma si poteva mandare avanti la giornata”, poi però “siamo stati ostacolati, ci minacciavano”. In che modo? “Ci facevano piccoli attentati: proiettili al vetro, i manifesti strappati, o magari scritte come – scusate il termine – ‘sei una puttana’. Sono stata minacciata anche personalmente con lettere di morte o benzina nell’auto“. Di tutti questi fatti “ho presentato delle denunce che poi però sono state ritirate perché non è stato fatto niente”.

L’incontro con don Graziano Maccarone

Visti i debiti che non riuscivano a ripagare, a causa di queste difficoltà, “siamo stati da un sacerdote di Tropea, don Nicola De Luca. Lui ha cercato di aiutarci, però le sue possibilità non erano molte e allora ci ha detto di andare a Mileto da questo suo conoscente. Ci siamo andati: prima eravamo all’interno di quella che sembrava una chiesa, poi, visto che la somma non poteva essere coperta, siamo andati da don Graziano Maccarone“. A quel punto “lui ha voluto vedere tutta la documentazione, abbiamo parlato un po’, e poi ha detto ‘non vi preoccupate che me la vedo io’. L’accordo è stato che avrebbe dato lui l’intera somma al signor Politi, noi non abbiamo preso dei soldi”. Fino a quando, così come aveva detto, “dopo qualche giorno ci ha chiamati e ci ha detto che aveva saldato tutto“.

I messaggi “pesanti”

Don Graziano, secondo quanto riferito dalla testimone, “aveva rapporti principalmente con mio padre”. All’interno del processo si è parlato più volte, però, anche dei messaggi che il sacerdote avrebbe mandato a sua sorella. “Il contenuto non posso saperlo perchè erano messaggi tra mia sorella e don Graziano, e io non li ho letti. L’ho saputo dopo. Inizialmente se n’era parlato in famiglia, quando mia sorella è stata minacciata, si è sentita messa alle strette e ha confessato quello che è successo. Io però inizialmente ero stata ‘mandata via’ dalla discussione, tra virgolette, perché erano messaggi molto pesanti e sentirli non faceva bene né a me né a mio fratello“. Che fossero “pesanti”, ha spiegato, “l’ho saputo quando era giusto saperlo, un paio d’anni fa”.

“Chiedeva i soldi non in modo gentile”

Al di là dei messaggi, però, c’era un debito da saldare. Sergio Politi, ha chiesto allora il pm della Dda di Catanzaro Irene Crea, era soddisfatto per aver ricevuto le somme? “No – ha risposto la donna – perché venne successivamente a dirci che non era stato saldato nulla“. “Ma tuo padre glielo aveva detto che era già stato pagato da Maccarone?” insiste allora il pubblico ministero. “Lui sosteneva che non era così”. A quel punto si crea quello che Roberto Mazzocca definisce un “gioco delle tre carte” (ne abbiamo parlato QUI) perchè sarebbero stati entrambi – sia Politi che Maccarone – a chiedere i soldi. Si tratta ovviamente di una tesi che dovrà essere verificata nel processo e che la difesa respinge con forza. “Don Graziano – ha detto ancora la testimone in aula – chiedeva i soldi non in modo gentile. Ogni volta a fine chiamata vedevo mio padre sempre turbato. Mi diceva che lo aveva minacciato perchè voleva i soldi, altrimenti gli avrebbe mandato qualcuno”.

I “cugini” di Nicotera

Avrebbe mandato qualcuno… chi? “Mio padre me l’ha detto solo quando abbiamo chiuso il ristorante, l’ho visto turbato e gliel’ho domandato. Don Graziano parlava dei suoi amici di Nicotera“. E di chi si trattava? “Nomi non ne ha fatti. Però quando si dice in questo modo… non intendeva persone semplici e tranquille. Mio padre mi disse che gli avrebbe mandato i suoi cugini, o comunque parenti, che erano della malavita. E sinceramente detto da un sacerdote non sono sante parole“. Aggiungendo, nel corso dell’interrogatorio in aula, un altro dettaglio: “Mi sono intimorita perché che gli mandavano i cugini di Nicotera e gli sparavano… credo che alcune parole abbiano un peso“. Anche queste presunte minacce sono al vaglio del giudice e la loro veridicità deve essere accertata all’interno del processo.

L’esame degli imputati

Il processo continua quindi a ritmi abbastanza serrati e non dovrebbero mancare molte udienze prima della sentenza. La Dda di Catanzaro ha infatti rinunciato ai propri testimoni non ancora ascoltati e si passerà ora ad interrogare quelli presentati dalla difesa, in particolare da quella di don Maccarone che ha annunciato di voler chiamare in aula sette testi. Successivamente, se acconsentiranno (ma è sembrato non ci siano problemi in tal senso), si procederà all’esame degli imputati e il procedimento si avvierà alla conclusione. La prossima udienza, per il momento, è stata fissata per il 14 marzo.

 

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