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LA LETTERA – La dignità del popolo del Sud non può essere barattata

Michele Furci analizza la questione legata all'Autonomia differenziata, al centro del dibattito politico e sociale anche in Calabria.

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Vuoi vedere che se insistono a far passare l’autonomia differenziata il Sud, quello che fu il grande Stato delle due Sicilie sino al 1860, finalmente troverà la forza della sua migliore tradizione per risorgere dopo 160 anni di colonizzazione culturale e dipendenza economica dal triangolo anglo-franco-padano?

Quando in Italia s’insiste a parlare della necessità di una presunta autonomia differenziata per necessità del Nord italico, rispetto a un Sud che con il suo ritardo di sviluppo frenerebbe la crescita produttiva del sistema Paese, allora non si può tacere la storia e in particolare ciò che realmente è avvenuto con l’annessione per mano militare imposta da potenze straniere nel 1860/61! Le classi dirigenti meridionali la smettano di piagnucolare e rivendichino piuttosto i danni subiti dalla colonizzazione, con la quale è stato smantellato l’apparato industriale e manifatturiero che vantava primati di ogni natura con la sua sovrana autonomia produttiva di Stato Siculo-Napoletano sino al primo mezzo secolo dell’800.

Coloro che rivendicano una autonomia differenziata delle regioni del Centro Nord, per non perdere il passo con le emergenze economiche e i neo servizi introdotti dalla quarta rivoluzione industriale e dal digitale, sappiano che la dignità del popolo del Sud non può essere barattata per l’ennesima volta con interventi economici clientelari e assistenziali. La popolazione meridionale non può subire l’altrui negletta ignoranza della storia che, in particolare, omettendo di evidenziare il perché il vecchio Stato del Sud, pur avendo incrociato sul finire del ‘700 tra i primi la rivoluzione industriale, ha poi subito il suo declino economico e con esso l’inizio del grande esodo dei suoi figli migliori!

Tacciano piuttosto i soliti ascari alla giornata, ammantati di falsa retorica e di una idea risorgimentale nord-centrica, che con egoistico atteggiamento hanno tenuto finora il sacco ai potentati padani pur di salvare i propri privilegi di famelici incettatori di prebende pubbliche. Costoro, figli dell’antica cultura dei gattopardi, in luogo di puntare sul vero anello debole del Sud, che rimane nella struttura del tessuto produttivo non in grado di utilizzare le risorse possedute in un contesto di sviluppo europeo e dei mercati internazionali, con la passività e la remissività perpetuano soltanto la desertificazione del territorio e il continuo declino dei centri urbani calabresi e meridionali. Per sopravvivere come consorterie politiche, dopo aver assistito debolmente alla destrutturazione dell’intero apparato industriale anche dell’ultima generazione degli anni ’60 e ‘70, quelle medesime classi dirigenti si limitano ad abbaiare alla luna evocando soltanto la possibile diminuzione delle risorse finanziarie agli enti pubblici.

Una siffatta posizione è soltanto perdente e limitativa, poiché non centra il vero obiettivo della falsa autonomia differenziata che, al contrario, punta a mantenere le risorse finanziarie nel Centro Nord per investirle per adeguare la propria struttura economica che se fosse alla pari tra i diversi territori italici per condizioni strutturali e pari gettito finanziario, non avrebbe possibilità alcuna di essere superiore al potenziale sviluppo del Sud. Ciò è provato dal fatto che, ogni concreto progetto industriale realmente introdotto nel laborioso territorio calabrese non ha mai deluso le aspettative.

A tal guisa bastano pochi esempi per smontare le tante falsità sul carattere dei veri investimenti industriali del Sud, che per i risultati raggiunti grazie alle capacità professionali e la creatività dei tantissimi professionisti, dei lavoratori qualificati e specializzati tuttora operanti in Calabria, sono strutture di avanguardia e producono opere competitive non solo in Europa ma nel mondo intero. Il Nuovo Pignone e la ex Snamprogetti, nel settore industriale energetico, e le numerose aziende dei gruppi locali agro alimentari, infatti, occupano consistenti segmenti di mercato internazionale e competono a testa alta con aziende di pari livello.

Le classi politiche che governano le attuali regioni del Sud e delle isole, piuttosto che rimanere in attesa degli sviluppi sulle idee altrui, alzino il tiro politico con una proposta che parta dai veri interessi delle politiche attive del Mezzogiorno. E così, per non subire l’ennesimo ricatto che alla fine si tradurrà in ennesimi effimeri finanziamenti a pioggia, bisogna rivendicare l’inversione del tema, che rimane lo sviluppo produttivo del settore primario agro-alimentare e del secondario manifatturiero ed industriale.

Soltanto un’economia che produca ricchezza, derivante dall’utilizzo sostenibile delle risorse naturali, favorita dalla transizione green, dalle fonti energetiche rinnovabili, dal miglioramento dell’efficienza energetica e dalla trasformazione digitale, potrà risolvere il vero problema dell’occupazione e dei servizi nelle regioni meridionali, poiché il risanamento e il ripopolamento urbano dei grandi e piccoli centri è la precondizione per rigenerare la politica da cui dipendono le strutture e i servizi pubblici scolastici, sanitari, turistici e di ogni altra natura civile.

Michele Furci

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