Cronaca

Il superboss del Vibonese e “l’indescrivibile umanità dei senzatetto”

Durante la sua latitanza ha affermato di aver vissuto insieme ai senzatetto: "Non vedo l'ora di poterli riabbracciare"

Pasquale Bonavota, 49 anni, è considerato uno dei più influenti capiclan della ‘ndrangheta calabrese. L’esponente dell’omonima famiglia di Sant’Onofrio, nel Vibonese, era considerato, fino alla sua cattura avvenuta a fine aprile, uno dei quattro latitanti più pericolosi d’Italia.

Era a Genova, ed è stato fermato dai carabinieri all’interno di una chiesa. Nelle sue dichiarazioni spontanee rilasciate nel corso dell’udienza di due giorni fa del processo “Rinascita Scott” ha affermato di aver condiviso molte notti con i senzatetto: “In loro ho trovato una indescrivibile umanità. Spero di poterli riabbracciare presto”.  Si è rifugiato nella fede, tant’è che ogni lunedì si recava presso la parrocchia San Donato per recitare il Rosario.

Venendo agli episodi che lo riguardano da vicino, uno dei pentiti, Andrea Mantella, lo ha accusato di essere stato l’esecutore materiale dell’omicidio di Domenico Moscato, avvenuto a Sant’Onofrio il 4 gennaio 1991. Il presunto capo di Sant’Onofrio, che all’epoca aveva meno di diciotto anni ed era definito “il boss bambino”, cerca di smentire l’accusa dicendo: “Quando quell’omicidio fu commesso, ero in Canada con i miei nonni. Sono partito a ottobre e sono tornato a marzo”. La prova, secondo Bonavota, è nel passaporto sequestratogli dai carabinieri all’epoca.

Affermazioni ritenute false, quelle di Mantella. “Sono accusato da circa 13 o 14 collaboratori di giustizia, e tutti riferiscono contro la mia persona per sentito dire. Hanno letto tutto sui giornali e dicono che io sia il capo di Sant’Onofrio nonostante viva a Roma. Vi assicuro che non faccio parte di nessuna associazione. Dimostrerò la mia innocenza e un giorno qualcuno mi dovrà delle scuse”, ha detto nel corso dell’udienza.