Cronaca

Guerra di ‘Ndrangheta nel Vibonese: “Fatta piena luce sulla strage di Ariola”

In conferenza stampa illustrati i dettagli dell'operazione che ha portato all'arresto di 14 persone

Generico giugno 2024

“Abbiamo acceso i riflettori su una cosca di ‘ndrangheta radicata nelle Preserre vibonesi e nel locale di Ariola Gerocarne, già interessato da altre operazioni in passato. Ora abbiamo ricostruito l’assetto attuale dopo i conflitti e diversi omicidi, uno dei quali riconosciuto come la strage di Ariola nel 2003 e l’indagine riguarda proprio il gruppo che prevalse in quel conflitto”.  E’ quanto dichiarato in conferenza stampa dal procuratore facente funzioni della Dda di Catanzaro, Vincenzo Capomolla,  in relazione all’inchiesta che, all’alba di oggi, ha portato all’arresto di 14 persone di cui 13 finite in carcere e una ai domiciliari, con l’intervento di oltre 200 Carabinieri.

L’indagine ha rivelato l’espansione della cosca fuori dalla Calabria, in particolare in Abruzzo e Piemonte, con attività economiche illecite e collaborazioni con imprenditori locali. Capomolla ha sottolineato “l’importanza della sinergia tra il Ros e il Comando dei Carabinieri di Vibo Valentia, evidenziando infiltrazioni nelle vendite immobiliari, estorsioni e nel settore agroalimentare. Le attività della cosca si estendevano anche in Svizzera”.

“Nell’area delle Preserre, la cosca si caratterizzava per una struttura arcaica ma aggressiva e predatoria, con una forte azione di controllo sociale e atti di violenza”. Il Comandante provinciale dei Carabinieri, Luca Toti, ha descritto la ricostruzione della strage di Ariola del 2003, “un attacco militare con armi da guerra che aveva finora evitato arresti. Tra gli arrestati ci sono mandanti ed esecutori di questa strage”.

Il colonnello e vice comandante dei Ros dei Carabinieri, Gianluca Valerio, ha spiegato, invece, che l’indagine iniziata a L’Aquila ha evidenziato “sinergie con altre componenti criminali in Italia e affiliazioni carcerarie. In Svizzera, la cosca operava per promuovere il “brand Calabria” a fini criminali, sfruttando l’immagine positiva della regione. I clan calabresi avevano radicato le loro attività in Abruzzo, avviando società e promuovendo prodotti calabresi, con la complicità di soggetti locali, espandendosi successivamente in Piemonte anche attraverso atti violenti e rapine. Le operazioni criminali includevano la distribuzione di stupefacenti e il controllo del mercato abruzzese di materie prime alimentari e casearie”.

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