Cronaca

‘Ndrangheta, il super pentito del Vibonese e “quella stella luminosa”

Una vita passata nell’illegalità fino a quando, nel 2016, decide di collaborare con la giustizia perché “non mi identificavo più come uno ‘ndranghetista”

Generico giugno 2024

“Non vorrei essere presuntuoso, ma io criminali ci nacqui. Già a 13 anni sono uscito sulla cronaca nera per il reato di estorsione, con il titolo irrisorio ‘o mi dai 30 milioni o ti faccio saltare in aria’”. A parlare nel maxi processo Rinascita Scott, nell’arco di lunghi interrogatori, durati parecchi mesi, soprattutto un ex boss di ‘ndrangheta di Vibo Valentia: Andrea Mantella, 49 anni, con un curriculum criminale tale da far pensare veramente che, forse, “criminale ci nacqui”. Una vita passata nell’illegalità fino a quando, nel 2016, decide di collaborare con la giustizia perché “non mi identificavo più come uno ‘ndranghetista”. Un pentito molto importante perché da quel momento, dall’estorsione da una cabina telefonica appena 13enne, ne ha fatta di strada: “Quella situazione mi è servita per farmi notare da Carmelo Lo Bianco, detto Piccinni, il mio ex capo. Poi faccio un escalation di omicidi, tentati omicidi, faccio una sparatoria al campo di calcio di Vibo Valentia, una gambizzazione a un commerciante. Ne ho combinate di tutti i colori”. Fino a diventare un temuto boss. Solo, ci tiene a precisare, “non ho commesso reati volgari”. Ovvero? “Di natura sessuale, scippi ai vecchietti, quelle porcherie lì”. Omicidi si (ne aveva commessi diversi anche da minorenne), scippi ai vecchietti… no.

“Il Leonardo da Vinci della ‘ndrangheta vibonese”.

Se criminalmente si forma nel clan vibonese dei Lo Bianco-Barba, il suo mentore era però un altro: Saverio Razionale, boss di San Gregorio. “Dovevo fare la cresima in carcere” racconta, specificando che non era per fede ma più che altro “un passatempo”. Fu proprio Saverio Razionale che “scese con me nella cappella, mi fece la cresima e poi dall’esterno mi ha fatto arrivare un preziosissimo orologio come segno di comparaggio”. E non nasconde certo la sua forte ammirazione per lui: “Io l’ho sempre definito il mio maestro, Razionale è il Leonardo da Vinci della ‘ndrangheta vibonese”. “È un fuoriclasse – aggiunge – il più intelligente di tutti, ci ha sempre visto lungo: quando gli altri pascolavano le pecore lui camminava con la Lamborghini”. Raccontando anche di quando, dopo un omicidio, per paura che ci potessero essere dei pentiti andò a disotterrare i pezzi del cadavere “e se li è portati da un’altra parte“, così che, se avessero indicato agli inquirenti dov’era nascosto il corpo, non avrebbero trovato nulla.

Luigi Mancuso? “Una stella, una persona abbastanza luminosa”.
Saverio Razionale non è stato però l’unico criminale di spessore descritto da Andrea Mantella. Nella prima di oltre dieci udienze programmate, infatti, le sue dichiarazioni hanno permesso di avere una descrizione di altri boss del Vibonese. A partire da Luigi Mancuso, il capo dei capi che “nessuno voleva morto”. Come mai? “Diciamo che da quando ero ragazzino sentivo parlare di Luigi Mancuso come una stella, una persona abbastanza luminosa. E anche Razionale mi ha detto che è inutile parlare con quei pecorari, quei vaccari, gli unici con cui si può parlare sono Luigi Mancuso” e alcuni suoi fratelli. Non certo, afferma, con Pantalone Mancuso detto “Scarpuni”, che “era una persona maleducata, antipatica, solo a vederlo ti veniva voglia di tirargli il collo“.

“Strangolava le persone anche per un pezzo di terra”.
Luigi Mancuso, insomma, “è sempre stato definito come una persona fine, che sa ragionare”. Non, sempre secondo quanto afferma Andrea Mantella, come Peppe Mancuso detto ‘Mbrogghia che “era una persona rude, rustica, che sapeva ragionare solo con la pistola: strangolava le persone anche solo per un semplice pezzo di terra”. Luigi Mancuso, invece, “faceva un omicidio più mirato, selezionato, non queste cose inutili, queste robacce”. Così come anche Giuseppe Antonio Accorinti – che “veniva inquadrato come una persona che faceva omicidi anche insensati, anche per le stalle” – e Peppone Accorinti: “Sono stato in cella con lui, però era peggio di Peppe Mancuso. Dove c’è sangue c’è anche Peppone Accorinti, era un furbacchione“.

Gargamella, i puffi e la “caddara”.

Parlando dei boss del Vibonese, e del loro potere che appare quasi “intoccabile”, c’è stata una similitudine in particolare – che Mantella ha riferito nel corso dell’udienza – che non è passata inosservata. Non è sua, spiega, ma “è un’espressione che ha usato Saverio Razionale alla fine degli anni ’90, nel carcere di Paola”. Il riferimento è a quella che in dialetto vibonese viene chiamata “caddara”, ovvero “il grande pentolone che usa Gargamella per mettere dentro tutte le cose”. “Razionale mi ha detto ‘andreuccio, la caddara’, spiegandomi che è inutile che il vibonese si ribella tanto alla fine tutti dentro la caddara finiamo”. In che senso? “È inutile che ci sono i capetti si vogliono ribellare, i quaquaraquà, perché tanto finiscono sempre dentro la ‘caddara’. Tutti i puffi finivano lì dentro”. E dentro la caddara, evidenzia, c’era già chi comandava: uomini come “Saverio Razionale, Rosario e Filippo Fiarè, Peppone Accorinti, Peppe Mancuso, Raffaele Fiamingo, Carmine Galati… e successivamente anche Rocco Anello e Damiano Vallelunga”.

Più informazioni