Cronaca

‘Ndrangheta nel Vibonese, il capo che voleva la pace e i gruppi “amici” (NOMI)

Un pentito ha svelato alcuni retroscena all'interno degli ambienti criminali

pentito collaboratore di giustizia

Da quel momento, dalla sua scarcerazione, gli equilibri sarebbero cambiati definitivamente. Questo era il desiderio del leader carismatico apprezzato e rispettato da tutti, in una complessa geografia di famiglie criminali, ma con lo sguardo sempre rivolto all’obiettivo comune. Nel 2012, il “Supremo” Luigi Mancuso torna in libertà. Da quel momento, si impegna a mettere in atto una strategia pensata forse da molto tempo, per ristabilire l’ordine prima all’interno della propria famiglia e poi all’esterno. Basta spari, basta omicidi, basta tensioni per la spartizione dei territori e dei profitti.

A raccontare i dettagli della “strategia pacifista” di Luigi Mancuso, come riportato dal Corriere della Calabria, è il nipote e collaboratore di giustizia, Emanuele Mancuso, durante un’udienza del processo “Maestrale-Carthago” al Tribunale di Vibo Valentia. «Lo zio Luigi Mancuso voleva unificare tutto, voleva la pace, non amava la violenza», spiega l’ex rampollo della potente cosca di Limbadi. «Era una persona carismatica, con una parola ti portava ovunque. Ricordo che la mia famiglia andava sempre a mangiare da Silvana Mancuso. Luigi era riuscito a riappacificare tutti». Perché, continua il pentito, «se ti inviti a un matrimonio e ti siedi vicino a persone che hai odiato per sette anni, allora significa che la riappacificazione era reale». «Si erano formati due gruppi che Luigi Mancuso aveva riunito dopo la sua scarcerazione nel 2012», ha spiegato ancora Emanuele. «A Tropea c’erano i La Rosa, i Piscopisani a Piscopio, gli Anello a Filadelfia, ma lui era in buoni rapporti con tutti e a tutti mandava un emissario».