Cronaca

’Ndrangheta, ecco come si riorganizzò la cosca dopo l’intenzione di collaborare del boss (NOMI)

La decisione di saltare il fosso sconcertò i suoi storici sodali al punto da "scaricarlo" e riorganizzare il clan

maxi-operazione-carabinieri-6c0cb1ca

La notizia che il boss della ‘ndrangheta Nicolino Grande Aracri aveva manifestato l’intenzione di collaborare con la giustizia, emersa nell’aprile 2021, sconcertò i suoi storici sodali al punto da “scaricarlo” e riorganizzare la cosca. Emerge dalla ricostruzione della Dda di Catanzaro che Vito Martino, intercettato il 7 maggio 2021, con la moglie Veneranda Verni e uno dei suoi figli, Francesco Martino, manifestò disappunto: “Ci siamo fidati”, disse appellando il boss “papa”. Mentre, come riferito ieri ai giornalisti dal procuratore capo Francesco Capomolla, la moglie Verni commentò: “Se si pente il capo scriviamo un altro libro”.

Lo scrive il Resto del Carlino. Vito Martino (1970) abitò per un periodo a Boretto e fu membro del gruppo di fuoco Grande Aracri. Il 54enne e i suoi figli Salvatore (1992) e Francesco Martino (1997), entrambi nati a Guastalla e residenti a Cutro, sono stati sottoposti alla custodia cautelare in carcere nell’operazione ‘Sahel’, per l’ipotesi di associazione mafiosa. Stessa cosa per il cognato Carlo Verni (1968), residente a Catanzaro: a suo carico risultano precedenti per emissione di assegni senza provvista, ricettazione, droga, rapina e altri reati a Crotone, Cutro e anche a Reggio, Castelnovo Sotto, Brescello, Reggiolo e Mantova.

Un uomo residente a Cadelbosco, detenuto a Rossano, risulta poi indagato per 416 bis in base a acconti dei pentiti e intercettazioni, ma il gip non ha ravvisato indizi sufficienti.

L’operazione, condotta dai carabinieri di Crotone, è sfociata in misure cautelari per 31 persone su 53 indagati: 15 in carcere, 7 ai domiciliari e obbligo di dimora per 9. Sono emersi episodi estorsivi ad attività crotonesi, non denunciati dalle vittime, e traffico di droga. Si legge nelle richieste investigative: “L’accenno di pentimento di Grande Aracri”, poi declinato dagli inquirenti perché ritenuto non credibile, “determinò l’immediato allontanamento del boss dalla cosca e la perdita di potere , creando un vuoto al comando e riportando alla luce gli antichi dissapori tra le famiglie di ‘ndrangheta. Se da un lato la famiglia Martino cercava di approfittarne la propria ascesa delinquenziale, dall’altra – scrive ancora il Resto del Carlino – quella dei Ciampà-Dragone vedeva la possibilità di vendicarsi della sconfitta subita negli anni trascorsi”. Secondo il gip, vi sono gravi indizi su Vito Martino in base alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e alle intercettazioni, da cui emergerebbe che lui è stato coinvolto dai familiari sulle questioni più importanti degli assetti della cosca nonostante fosse detenuto. Sulla moglie Verni (1970), avrebbe impartito ordini: un pentito ha detto che parte dei proventi delle estorsioni andavano a lei per mantenere la famiglia; dalle captazioni, emerge che parla dell’incendio alla macchina del figlio Francesco a seguito di contrasti con le altre cosche e della contrapposizione coi Ciampà.